Ciao, come stai? E come vorresti stare?

– Ciao come stai?

– Bene grazie e tu?

– Tiriamo avanti…

Quante volte siamo stati protagonisti di una conversazione simile? Probabilmente oggi vi è capitato già almeno una volta e d’altronde si tratta di formule verbali che si ripetono in maniera rituale come atto di cortesia reciproca. Ma quand’è che il “convenevole” diventa realmente opportuno, ob-portus, ossia riesce a portarci avanti evitando di farci rimanere in stallo, di girare in tondo o di fare una brutta fine?

Un mio amico e collega un giorno mi ha detto: “il meglio è nemico del bene“.

Questa frase mi colpì per la sua pertinenza rispetto a quel momento in cui stavo rischiando di non fare nulla non potendo fare meglio. In quel caso era necessario per me dare una risposta e il meglio corrispondeva al nulla quindi conveniva fare semplicemente bene piuttosto che non fare. Come direbbe l’antico proverbio “chi si accontenta gode”.

Oggi pensavo “il bene è nemico del meglio” con altrettanta soddisfazione per la pertinenza di questa affermazione rispetto ad un tema che sto affrontando questi giorni. D’altronde, citando un altro aforisma, “accontentarsi è la fiamma che si spegne nei tuoi sogni“.

Ma allora, oltre alla certezza che i proverbi dicono tutto e il contrario di tutto, cos’è bene e cos’è meglio? Qual’è la verità? Una, nessuna o centomila. Scomodare Pirandello mi è utile perché anche le parole “bene” e “meglio” significano una cosa, nessuna,  e centomila. Quando significa “non voglio dirtelo“, “non lo so“, “è inutile parlarne“, “nella norma“, “non mi va di parlarne ora“, “non voglio parlarne con te” lo scopo sembrerebbe quello di non volersi esporre o di non esporre l’altro a noi stessi, confermando il valore del convenevole come gesto di cortesia.

Ma può la cortesia essere più violenta della scortesia? Quando il garbo, l’educazione, la gentilezza, la cordialità, la delicatezza, il tatto, la grazia, la squisitezza, la premura, la disponibilità, l’attenzione, l’affabilità, il rispetto, il riguardo, l’ossequio, diviene un atto violento più della scortesia? E’ possibile essere scortese a fin di bene?

La confusione in me aumenta se cerco di razionalizzare, tuttavia ascoltando l’emozione tutto ciò mi parla di qualcosa che conosco bene, come quando si pensa di “tirare avanti” mentre invece “ci si sta tirando indietro”. Quando le categorie ingabbiano la realtà, costringendo le cose ad essere il loro nome, cresce in me la voglia di andare oltre e sfidare gli opposti.

Quando il peggio è meglio? Quando il male è bene ? E viceversa?

Ha senso cercare di essere premurosamente scortese?  Quando?

Per ora concludo e tornerò presto sul tema. Vi lascio con una chiusura pirandelliana, a fine di un inizio….

« La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola, domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo ».

 

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Informazioni su marhhaba

Sono uno psicologo, gestaltista e art counselor, mi occupo principalmente di formazione, sviluppo e comunicazione personale, di gruppo e collettiva, attraverso i metodi della psicologia umanista e dell'educazione attiva. Il mio lavoro è intimo, intermittente e internazionale e ha come obiettivo principale far dialogare le relazioni di tipo mentale, con quelle emotive e fisiche che de-finiscono il nostro essere al mondo. Il risultato è riuscire a ri-vedere le cose in maniera più utile e autentica, e quindi sana. Soy un psicólogo, gestaltista y consultor expresivo. Me ocupo principalmente de formación, desarrollo y comunicación personal, grupal y colectiva, a través de los métodos de la psicología humanista y de la educación activa. Mi trabajo es íntimo, intermitente e internacional y tiene como principal objetivo crear relaciones de diálogo entre lo mental, lo emocional y el corporal, triangulación que de-fine nuestro ser en el mundo. El resultado es la posibilidad de volver a ver las cosas de una manera más útil y auténtica, y por lo tanto saludable. Je suis un psychologue, gestaltiste et conseiller expressif, je m'occupe principalement de la formation, du développement et de la communication personnelle, de groupe et collective, à travers des méthodes de la psychologie et de la éducation active. Mon travail est intime, intermittente et international et a pour objectif principal de créer des relations de dialogue entre le mental, l'émotionnel et le physique, éléments qui de-finissent notre être dans le monde. Le résultat est d'être en mesure de re-voir les choses d'une manière plus utile et authentique, et donc saine.
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